sabato 28 novembre 2015

L'odissea: Ulisse e Polifemo

Jacob Jordaens, Ulisse e Polifemo, 1635, Mosca, Pushkin Museum


Al fine in questa,
Dopo molto girar, fraude io m'arresto.
Montoni di gran mole e pingui e belli,
Di folta carchi porporina lana,
Rinchiudea la caverna. Io tre per volta
Prendeane, e in un gli unìa tacitamente
Co' vinchi attorti, sovra cui solea
Polifemo dormir: quel ch'era in mezzo,
Portava sotto il ventre un de' compagni,
Cui fean riparo i due ch'ivan da lato,
E così un uomo conducean tre bruti.
Indi afferrai pel tergo un arïete
Maggior di tutti, e della greggia il fiore;
Mi rivoltai sotto il lanoso ventre,
E, le mani avolgendo entro ai gran velli,
Con fermo cor mi v'attenea sospeso.
Così, gemendo, aspettavam l'aurora.
Sorta l'aurora, e tinto in roseo il cielo,
Fuor della grotta i maschi alla pastura
Gittavansi; e le femmine non munte,
Che gravi molto si sentìan le poppe,
Rïempìan di belati i lor serragli.
Il padron, cui ferìan continue doglie,
D'ogni montone, che diritto stava,
Palpava il tergo, e non s'avvide il folle
Che dalle pance del velluto gregge
Pendean gli uomini avvinti.


Dopo aver accecato il ciclope, Ulisse, lo inganna unendo a tre a tre i montoni e legando i compagni sotto al montone di mezzo; quando Polifemo tocca le bestie per farle uscire al pascolo non si rende conto di aver appena fatto uscire i suoi prigionieri.
Ulisse è riuscito con questo stratagemma a rendere se stesso e i suoi compagni invisibili agli occhi del ciclope permettendo così, a tutti, di uscire dalla grotta, raggiungere la nave e trarsi in salvo.

Nessun commento:

Posta un commento